Void

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La Notte © M. Antonioni
La Notte © M. Antonioni

La domanda arrivò all’improvviso. Finalmente.

Dopo una pausa interminabile di alcuni secondi, quando si è lì lì per dismettere gli spettatori e concedersi una decompressione neuronale sistemica, in quel momento di buio cerebrale che precede la consapevolezza, ecco, una ragazza si fece coraggio e con voce tremula, evidentemente imbarazzata non so se per la mia presenza o per la paura di una domanda stupida, CHIESE.

Le gambe si fecero molli e la necessità di sedermi impellente. Ancora non so se per l’imminenza della risposta ora non più procrastinabile o perché finalmente avrei dovuto “affrontarmi” per intercessa persona e risolvere questa faccenda privata una volta per tutte. Per iniziare volevo farlo comodamente, rilassato, prendendomi il tempo che una tale stupida domanda richiedeva. Un lungo, denso, profondo respiro e qualche secondo per cercare una chiarezza mentale, che mai arrivò.

“Come si fotografa il nulla?” – mi chiese.

Koyaanisqatsi © G. Reggio
Koyaanisqatsi © G. Reggio

Avevo cercato di prepararmi a quella domanda per anni. Ma poi, come sempre, la mia pigrizia mentale e le mie recondite buie motivazioni personali erano sempre riuscite a distrarre e impegnare la mia mente in altri pensieri. Quando questa domanda mi riappariva alla mente però, ciclicamente, cercavo di capire perché inconsciamente la sfuggissi così velocemente e automaticamente; ma sempre avevo risposte deboli e insostenibili.

Il “nulla” mi trascinava inevitabilmente in considerazioni metafisiche di vuoto, solitudine e silenzio; verso quella sottile linea di confine tra realtà e sospensione/mistero, in temibili considerazioni nicciane sull’intollerabilità della “vista della vita”.
E se la scoperta del Qualcosa fosse più terribile del Nulla?

Koyaanisqatsi © G. Reggio
Koyaanisqatsi © G. Reggio

Avrei potuto iniziare una riflessione Lacaniana sulla “Cosa”, quel nucleo originario e costitutivo dell’Io che risulta per noi inaccessibile, perduto. La Cosa che assume le sembianze di un vuoto centrale, di un buco. Qualcosa di alienato, di “estraneo a me pur stando dentro di me”, come ciò che resta sempre in bilico tra un ipotetico “dentro” ed un ipotetico “fuori”.
Avrei potuto filosofeggiare sul concetto di Arte come organizzazione del vuoto, come bordatura del vuoto centrale della Cosa, per definizione non rappresentabile (secondo Lacan). Cioè, in sintesi, inserire l’assenza in una forma. Del nulla appunto.
Nella storia dell’arte concetti differenti, quali ad esempio Dio, la Natura, l’Infinito, il Linguaggio, il Vuoto, lo Spazio e il Tempo, come ha sottolineato Kounellis, hanno tutti la stessa funzione: creare un ponte tra il reale e il mistero intrinseco alle cose.

Avrei potuto parlarle di questo… ma non lo feci.

Deserto Rosso © M. Antonioni
Deserto Rosso © M. Antonioni

“Ma perchè lo vuoi sapere?” – le chiesi – “Credo che non si possa fotografare il nulla in sé, tantomeno il vuoto, il silenzio o la solitudine. Piuttosto chiediamoci come si manifesta in noi e attorno a noi. E questo si che si può fotografare.”

“Il vuoto” continuai, “con la sua chiara e disarmante consapevolezza di “impossibilità” che si porta appresso. Delillo e Easton Ellis ci raccontano del vuoto, del silenzio e del nulla attraverso una società umana ormai collassata e destinata all’estinzione morale e, probabilmente, fisica. D’altronde il tempo – nell’era del disastro globale – è narrato, come dice DeLillo, solo dal denaro, e la vita e la morte degli uomini è equiparata solo a quella di topi di fogna.”

«Ci sono stelle morte che brillano ancora perché la loro luce è intrappolata nel tempo.
Dove mi trovo io in questa luce, che a rigor di termini non esiste?».
D. DeLillo – Cosmopolis

«Accendi la TV, nessuno di quelli che ascoltano sospetterà. Anche tua madre non se ne accorgerà,
così tuo padre non lo saprà. Pensano che non abbia rispetto ma Tutto è meno di zero»
B. Easton Ellis – Less Than Zero

Continuai … “Oppure il silenzio, ad esempio. Michelangelo Antonioni rappresentava il silenzio come luogo necessario per il passaggio dall’invisibile al visibile, un momento di sospensione inevitabile e necessario per l’incubazione dell’immagine, una frattura emotiva spazio-temporale della cruda realtà esistenziale.”

La notte © M. Antonioni
La notte © M. Antonioni

“Dal salone oggi venivano i dialoghi di un film trasmesso alla televisione: ‘Se fossi in te, Jim, non lo farei.’ Dopo questa frase, c’è stato il guaito di un cane; lungo, sincero, perfetto nella sua parabola che si chiudeva nell’aria come, in un grande dolore. Poi mi parve di sentire un aereo, invece era il mio silenzio, e io ne ero molto contenta.
Il parco è pieno di silenzio fatto di rumori. Se metti un orecchio contro la corteccia di un albero e rimani così per un po’, alla fine senti un rumore. Forse dipende da noi, ma io preferisco pensare che sia l’albero. In quel silenzio ci sono stati dei colpi strani che disturbavano il paesaggio sonoro intorno a me. Io non volevo dirlo, ho chiuso la finestra ma quelli continuavano, mi sembrava di impazzire. Io non vorrei udire suoni inutili, vorrei poterli scegliere durante la giornata, così le voci, le parole. Quante parole non vorrei ascoltare, ma non puoi sottrarti, non puoi fare altro che subirle, come subisci le onde del mare quando ti distendi a fare il morto.”
“Me lo fai risentire?”
M. Antonioni – La Notte

 

La notte © M. Antonioni
La notte © M. Antonioni

… Il silenzio.

Ispirazioni consigliate:

J. Lacan – Il seminario. Libro VII: L’etica della psicoanalisi
D. DeLillo – Cosmopolis
M. Antonioni – Trilogia dell’incomunicabilità / L’avventura, La Notte, L’eclissi
G. Reggio – Koyaanisqatsi
B. Easton Ellis – Meno di Zero
F. Ruina – Lacan e l’estetica del vuoto

About Piergiorgio Casotti

Alternative TextNato nel 1972 e laureato in Economia, sono sempre stato attratto dalle dinamiche degli esseri umani; ho scoperto la fotografia come mezzo che mi permette di esplorare contemporaneamente sia il mondo che me stesso: legame diventato indissolubile da allora. Le mie fotografie presentano sempre una parte di me; si tratta di scoprire la mia intimità, affrontare le mie paure vivendo altri mondi e vite. Uso lo stesso metodo empatico con la mia vita e le mie fotografie: estirpare il concetto di “bello” o “brutto” e, al contrario, andare alla ricerca di immagini che possano essere “vissute”, non solo “guardate”. Cerco di creare progetti complessi proprio per esprimere la complessità del mondo e della vita: immagini e testi, video e musica; cerco di rompere gli schemi e allargare gli orizzonti; vorrei raccontare storie, stati mentali ed esperienze che hanno poco a che fare con gli standard estetici; vorrei raccontare vite che, anche attraverso il linguaggio della fotografia, graffiano la superficie delle cose, cercando – e a volte rivelando – ciò che l’occhio non vede.