Mi casba, tu casba

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© Agnese Morganti
© Agnese Morganti

Ho un’amica che lavora per un’organizzazione internazionale a Roma. È di famiglia iraniana, è nata in Mississippi e ha studiato a Parigi. Già questa sarebbe una storia interessante, ma non è una storia italiana, e invece abbiamo deciso che questa rubrica parlerà dell’Italia. Quel che c’è di italiano nella faccenda della mia amica iranianoamericanaparigina è che in questo periodo della sua vita sia finita a vivere in un quartiere di Roma che si chiama Monti, anzi RIONEMONTI tutto attaccato, così fa più tipico, un po’ come quelle tovaglie a quadrettini rossi e bianchi sul tavolo delle trattorie che però poi ti vendono la gricia a 12 euro.

RIONEMONTI quindi. Come esempio di tanti altri quartieri del centro di altre grandi città.

© Allegra Martin / Domenico Onorato

Molto spesso l’organizzazione internazionale spedisce la mia amica in qualche landa lontana del cosiddetto terzomondo, dalla quale altrettanto spesso lei torna vittoriosa portatrice sana di generiche malattie esotiche e viene perciò rinchiusa in alcuni sinistri reparti degli ospedali romani, nei quali nessuno riesce a spiegarle in una qualsiasi delle sue lingue per quanto tempo sarà trattenuta e a causa di cosa. Così finisce sempre che lei mi telefona disperata chiedendomi di interloquire con il nostro welfare al cloroformio che a tratti la spaventa più delle zanzare africane. Ma anche questa è un’altra storia, e stavolta sarebbe anche italiana, ma non è mia intenzione dilungarmi in questa sede sui problemi di comunicazione dei servizi pubblici del nostro BelPaese.

© Giulia Mangione / Gilda Aloisi

“Di cosa dunque intendevi parlarci?” pigola la voce del lettore antipatico tipo quella del bambino che fa: “papà – papà quanto manca?”, e così facendo si perde la bellezza dei paesaggi che sfilano dal finestrino, lasciandoli svanire senza ascoltarli. Volevo parlare, cari Antongiulio e Antonluca, del fatto che la mia amica, quando parte per questi sensazionali viaggi alla ricerca della malaria, si assenta per interi mesi, lasciando l’appartamento di RIONEMONTI in mia custodia, per farci quello che mi pare e soprattutto, quando ci riesco, per affittarlo ai turisti.

Questa mia imprevista, irregolare e amorevolmente svolta attività di affittacamere, mi ha catapultata nell’universo quotidiano e diurno di un quartiere del centro storico della mia città finora a me noto unicamente per una vita notturna assai prevedibile fatta di baretti, biliardini, feste sui terrazzi, gigionesche serate in piazza, gioventù benestante e ubriaca e turisti felici e frodati*. Infatti oggi abitare a RIONEMONTI è, per un italiano medio, e pure per un italiano medioalto alla fine, un’esperienza economicamente pressoché inaffrontabile, a meno che non si sia ricevuto un appartamento in eredità da nonno. Per questo motivo il quartiere, già Rione, che per sua fortuna e per sua sciagura è il primo agglomerato di edifici e stradine visivamente aggraziati nel quale il turista si imbatte una volta sfrondate col coltello le mangrovie della jungla della stazione Termini, nelle ore lavorative si ritrova popolato da figure aliene, derivati al 100% di quest’epoca mattacchiona che, se da un lato fanno a cazzotti col concetto di tipico e popolare della sopracitata tovaglia a quadretti, dall’altro generano situazioni inverosimili e straordinariamente in linea con la nostra attualità tutta: pazze, disordinate, rapidissime e passeggere, apparentemente casuali, mal gestite, a tratti disperate, spesso illegali, vive, vere e interessantissime.

I nuovi rionali somigliano nella mia mente a quei personaggi adesivi degli album attaccaestacca che da bambina prendevi dal foglio di partenza e che potevi incollare su altri fondali fatti male in cui tutte le proporzioni e le prospettive alla fine erano sbagliate e quei poveri pupazzetti sembravano essere degli scappati di casa.

© Clara Turchi
© Clara Turchi

Fra questi esseri extraterrestri che popolano RIONEMONTI ho rintracciato alcune creature tipiche dell’epoca della grande recessione del 2008, che qui enuncerò in ordine sparso:

  • Cani di piccola taglia portati a spasso da maggiordomi di piccola taglia che non sono i loro padroni;
  • Sacchi dell’immondizia contenenti lenzuola di ricambio dei B&B portati a spasso da schiene di omini rapidi e tuttofare di origine sudamericana, filippina, o – attenzione, new entry – da lavoratori italiani freelance o part time che lo fanno per arrotondare. Io di fatto mi colloco in questa fascia ma credevo di essere una perla rara, mentre mi è successo di incontrare, con estrema sorpresa di tutti, persone di mia conoscenza con cui, dopo aver scambiato considerazioni stupite e gongolato amaramente sulla condizione del nostro incontro siamo andati, ridendo, a bere un succo di frutta nell’unico bar zozzone e tipico di tutto il quartiere;
  • Piccoli indiani – forse dieci forse più – gestori di lavanderie a gettoni, che hanno completamente assorbito ritmi e modalità dell’umorismo romano, anzi, se fai passare altri cinque sei anni secondo me faranno entrare in lavanderia solo quelli con la faccia che sta bene a loro, come facevano una volta i vecchi ristoratori di Trastevere e Testaccio;
  • Nativi dei Paesi del primo mondo che vengono a Roma perché “Marcello, come here!”, e finiscono a vivere a RIONEMONTI facendo la vita che un romano non farà mai, come noi quando andiamo a vivere al Cairo e ci ritroviamo a Zamalek e mangiamo sul rooftop dell’hotel parlando inglesi più o meno maccheronici insieme a giornalisti e diplomatici.
© Clara Turchi / Gilda Aloisi

La mia amica iraniana in effetti mi dice sempre che è contenta di avermi conosciuta perché le faccio vedere la vita vera di Roma. Quando l’ho portata la prima volta a Centocelle mi ha detto: “Ah, che bello, la gente vera!” Insomma, praticamente per lei sono come una ragazza della kasbah cairota.  Allo stesso modo in cui lei per me è la finestra sulla vita di un quartiere del centro della mia città che oggi somiglia a una Williamsburg Brooklyn in salsa al pecorino.

Direi che lo scambio culturale, per quanto bizzarro nella dinamica, è spaventosamente riuscito.

Lavinia Parlamenti / Everyday_Italy

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© Lavinia Parlamenti
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