Intervista doppia | Régina Monfort & Dragana Jurisic

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Research notebooks for "My Own Unknown", 2016 © Dragana Jurisic
Research notebooks for “My Own Unknown”, 2016 © Dragana Jurisic

T.B. Come nasce il tuo interesse per il fotolibro in qualità di editor1/fotografa2?

R.M.1 È successo sistematicamente, avendo lavorato nel settore, a vario titolo, negli ultimi trent’anni. Sono sempre stata interessata al confronto delle immagini; fare l’editing di un lavoro ti dà questa opportunità. Sono d’accordo col fatto che sia una responsabilità mettere insieme le immagini. Sognavo di diventare film editor e sono appassionata di cinema, cosa che ha formato il mio lavoro di fotografa ed editor. È come se fossi tornata al punto di partenza con il mio lavoro di editare forme lunghe di narrativa.
Richard Sandler, fotografo: “Régina mi ha aiutato tantissimo con l’editing del mio libro, The eyes of the city. Lei ama questo lavoro… ha un’eccezionale memoria fotografica, e questo è stato molto importante, dal momento che ho lavorato ventiquattro anni al mio libro. Così, mentre lavoravamo alla struttura delle pagine, si è ricordata delle associazioni tra le immagini, molte delle quali sono finite nel libro. La cosa migliore che fa Régina è creare uno spazio libero e intelligente per l’editing; perciò, la sua dedizione all’eccellenza forma il processo, portando la visione del fotografo a una concentrazione più chiara”.

the editing process image of "Sign of your identity" with Daniella Zalcman © Régina Monfort
the editing process image of “Sign of your identity” with Daniella Zalcman © Régina Monfort

D.J.2 Sono un’avida collezionista e lettrice di fumetti sin dalla prima infanzia, per cui è stata una progressione naturale verso il fotolibro. Devo ammettere, però, che preferisco ancora le graphic novel; questo può spiegare il motivo per cui la relazione di immagine e testo è fondamentale nei miei lavori. A volte mi sento frustrata per il gran numero di fotolibri che vengono pubblicati ogni anno. Molti di questi, per me, sono un esercizio superfluo e molto costoso. Ma quando sono di buona qualità, sono fantastici.

 

T.B. Qual è stato il primo fotolibro che hai amato e perché?

R.M. Non era una monografia, ma un Dictionnaire des Photographes a cura di Carole Naggar. Ho passato ore a leggerlo attentamente, mi ha fornito citazioni e note biografiche che sono state come una finestra sui viaggi personali dei fotografi, sul loro approccio, e nella maggior parte dei casi hanno fornito un disegno.

"Dictionnaire des Photographes" by Carole Naggar, photo © Ernst Haas
“Dictionnaire des Photographes” by Carole Naggar, photo © Ernst Haas

D.J. Il primo libro che mi ha più o meno spezzato il cuore è stato Karasu o Solitude of Ravens di Masahisa Fukase. È così desolato e alienante che è come se fossi nella testa dell’autore, e non è un bel posto in cui stare. Allo stesso tempo sei affascinata dal fatto che un libro abbia questo potere di proiettarti in un mondo parallelo dove vivi nella mente di un uomo tormentato, e che ti possa portare in viaggio con lui, attraverso un inverno giapponese e uccelli neri dappertutto – come un brutto presagio di ciò che sarebbe successo più tardi a Fukase. Credo che il mio primo vero lavoro, Seeing Things, sia stato fortemente ispirato da Solitude of Ravens.

"One Crow for Sorrow" (from "Seeing Things" series), 2008 © Dragana Jurisic
“One Crow for Sorrow” (from “Seeing Things” series), 2008 © Dragana Jurisic

T.B. Credi nel potere della fotografia e del fotolibro? Pensi che possa essere d’aiuto? E come, in questi tempi oscuri in cui viviamo?

R.M. Non saremmo qui a parlarne, se non ci credessi. Un lavoro in forma di libro diventa un oggetto che può avere vita propria. Mi piace lavorare a forme lunghe di narrativa, ordinare e articolare una storia. Ho editato diversi libri per FotoEvidence Press, dedicata a fotografi il cui lavoro si concentra sull’ingiustizia sociale, sulla violazione dei diritti umani e sull’attacco alla dignità umana. I libri che ne derivano rappresentano una testimonianza duratura, degli strumenti di attivismo.

From the book "Endurance", photos © Omar Havana - FotoEvidence
From the book “Endurance”, photos © Omar Havana – FotoEvidence

D.J. La fotografia in generale sì, ha il potere di stimolare, formare, provocare, etc. Conosciamo esempi storici di molte immagini che hanno dato inizio a discussioni serie o reazioni a ciò che veniva mostrato a noi, il pubblico. Comunque, la realtà della pubblicazione dei fotolibri è che esistono in media 500, 1.000 copie. Sono numeri troppo piccoli perché possano essere di grande impatto nello stimolare o informare il pubblico. Ma questi fotolibri possono esistere al di là dell’oggetto fisico. Per esempio, il mio libro YU: The Lost Country ha provocato reazioni significative sul web. La recensione del Guardian è stata condivisa più di 5.000 volte, la mia intervista con BBC World è stata ascoltata da centinaia di migliaia di persone, etc., per cui il mio libro è vissuto ben oltre le 500 persone che l’hanno acquistato.

"YU_ The Lost Country", 2015 © Dragana Jurisic
“YU_ The Lost Country”, 2015 © Dragana Jurisic

T.B. Chi è un fotografo contemporaneo che ami e perché? 

R.M. Non ho un fotografo “preferito”; tuttavia, ammiro e rispetto molti fotografi che hanno riassunto in una sola immagine tutto ciò che c’è; questo, personalmente, mi impressiona dal punto di vista umano.

From the book "The Eyes of the City", photos © Richard Sandler – published by PowerHouse books
From the book “The Eyes of the City”, photos © Richard Sandler – published by PowerHouse books

D.J. Ah, ce ne sono troppi, è davvero difficile rispondere a questa domanda. Ma devo parlarti di un’artista contemporanea che mi ha assolutamente lasciata a bocca aperta. La scorsa estate ho tenuto una mostra al DOCfield Barcelona, e anche il mio amico Sarker Protick, geniale fotografo bengalese, si trovava in città. Così ci siamo incontrati e siamo andati a vedere la mostra di Andrea Fraser al MACBA. È stato assolutamente stupendo. La portata, la sua critica delle istituzioni d’arte, il suo humor e la complessità del suo lavoro sono incredibili. La serie di foto della Fraser, White People in West Africa mi ha fatto davvero ridere ad alta voce. Allo stesso tempo è stata una testimonianza eccellente e un capovolgimento di ruoli rispetto ai soliti tropi della fotografia di viaggio.

Noli Timere Mnemosyne V © Dragana Jurisic
Noli Timere Mnemosyne V © Dragana Jurisic

T.B. Credi che abbiamo bisogno del fotolibro inteso come oggetto, dal momento che viviamo in un modo molto virtuale? Qual è il senso della stampa su carta, oggigiorno?

R.M. Una delle sfide della fotografia è quella di tradurre la nostra realtà multidimensionale su un piano bidimensionale con grazia ed eloquenza. Un libro è tridimensionale per natura, può essere tenuto, sentito, osservato, riposto e rivisitato; se va bene, può anche offrire una nuova esperienza ogni volta. È tangibile.
Svetlana Bachevanova, editrice a FotoEvidence: “Régina Monfort ha occhio per la fotografia e anima per la giustizia sociale. Negli ultimi sette anni, con FotoEvidence, Régina ha editato dieci dei nostri libri, alcuni dei quali sono stati “Miglior Fotolibro dell’Anno”, selezionati da TIME, Smthsonian, Mother Jones e Lens Culture. È un’editor eccezionale e un’attivista appassionata, nonché una cara amica.

D.J. Sì. In primo luogo, le persone feticizzeranno sempre gli oggetti, e a volte i fotolibri sono dei lavori d’arte davvero deliziosi. Inoltre, il loro prezzo li rende abbordabili alla maggior parte dei collezionisti. In secondo luogo, le fotografie sembrano diverse se guardate retroilluminate sullo schermo del computer e stampate. L’esperienza è totalmente diversa. Penso che non abbiamo bisogno di così tanti fotolibri. Sembra che i fotografi abbiano questa ossessione di tentare e forzare progetti non destinati al format di un libro. E questo, spesso, si vede.

 

Régina Monfort è fotografa ed editor. È nata in Francia e vive a Brooklyn, New York.
www.reginamonfort.com
Dragana Jurisic è nata in Croazia. Attualmente vive a Dublino.
www.draganajurisic.com

Régina Monfort and Dragana Jurisic

About Teresa Bellina | Gazebook – Sicily Photobook Festival

Alternative TextTeresa Bellina è una fotografa italiana.
Nata in Sicilia, dopo gli studi triennali in biologia a Catania, si forma artisticamente all’Accademia di Belle Arti di Bologna sotto la guida, tra gli altri, di Walter Guadagnini, Massimo Pulini e Claudio Marra.
Il suo interesse per la pittura e le arti figurative si sviluppa, ben presto, nel corso degli studi, verso un percorso più ampio, fino ad accostarsi alla fotografia digitale come strumento di racconto, rappresentazione e sperimentazione.
Al termine degli studi, dalla Sicilia, inizia una serie di viaggi che la porteranno in Sud America in Paraguay, dove per la prima volta si confronterà con il tema del reportage giornalistico, culminando con Ho sbagliato America, storia scritta e fotografata per la sezione reportage del magazine L’Espresso, del marzo 2013.
Dal 2011 si interessa e collabora attivamente a vari festival a tema fotografico in Italia e all’estero, fino alla fondazione e co-direzione di Gazebook - Sicily Photobook Festival.
Attualmente non ha una residenza fissa e non aspira neanche ad averne una, non partecipa ai concorsi fotografici, non ha mai vinto un premio o una menzione d’onore nel mondo fotografico.
Oggi lavora a un nuovo progetto che terminerà nel 2018.